Domenica 02 Giugno 2024
Dalla Banchina S. Francesco fino ad arrivare al Faro Vecchio
Abbiamo detto di parlare di pace perché in questi ultimi anni e in questo presente la crisi che la pace sta vivendo preoccupa tutti noi.
Prendendo spunto dai due maggiori conflitti che più ci sconvolgono vediamo come alla base ci sia oltre ad un aspetto economico e di potere anche l’aspetto della diversità, del sentirsi diversi.
Ovvio che la diversità è un aspetto importante della creazione, della società, del nostro vivere insieme. Perché è proprio nella diversità e nel saperla accogliere che sta la maggiore ricchezza.
Ma il problema nasce quando la diversità ci spinge ad allontanare l’altro, a non accoglierlo, a fargli guerra.
San Francesco, ecco quindi perché oggi siamo qui, ha contestato l’idea che il cosiddetto infedele dovesse essere contrastato con le armi e sopraffatto per imporre la nostra idea, la nostra verità.
San Francesco invece ha dimostrato che si può dialogare, si può accogliere l’altro anche se è diverso, se ha una diversa cultura, un diverso credo. Fino a qui ci appoggiamo alle parole, ai concetti.
Ma nel concreto, noi, ognuno di noi, cosa può e deve fare?
In quanto AA.SS. siamo donne e uomini che cercano di camminare cristianamente, in modo (capisco che è una parola grossa) evangelico.
E allora tornando proprio al Vangelo ho pensato a un aspetto che era molto presente nelle prime comunità cristiane e Paolo ce ne dà un resoconto.
I primi cristiani vivevano seguendo quelle che poi sono state denominate virtù teologali; e tutti noi sappiamo che sono la fede, la speranza e la carità.
Ma come incidono, se incidono, questi tre aspetti nella mia vita? E cosa centrano con il discorso della pace? Guardiamole brevemente una alla volta: La fede. Cos’è la fede?
La fede è un atteggiamento di fiducia, è un credere a qualcosa, a qualcuno.
La fede è un pilastro d’appoggio, è un fondamento.
Perché avere fede significa tenere lo sguardo rivolto al passato, conoscere cosa è accaduto prima di noi, scoprire come Dio è intervenuto nella storia e come donne e uomini si sono fatti, nei secoli, testimoni di Dio e del suo Amore, portando avanti il suo disegno. San Francesco l’ha fatto. Ha dimostrato che la pace donata dallo Spirito è possibile accoglierla e donarla.
Poi c’è la speranza. Se la fede è uno sguardo rivolto al passato, la speranza è una spinta a volgere lo sguardo verso il futuro.
Qui, stasera, abbiamo davanti agli occhi l’orizzonte. E l’orizzonte è simbolo di vedere oltre il proprio naso. B.P. insegnava che noi scout siamo chiamati a guardare lontano e una volta guardato lontano, dobbiamo guardare ancora più lontano.
Ma da cristiani non dobbiamo pensare che guardare lontano, guardare al futuro, significhi sognare o fantasticare. Il cristiano guarda al futuro con il desiderio di ricevere il dono dello Spirito. Perché è lo Spirito che ci guida.
Allora la nostra speranza è questo tendere verso il futuro aperti, accoglienti allo Spirito di Dio.
Ma avere fede (quindi “appoggiarsi” al passato) e nutrire speranza (quindi farsi capaci di accogliere quello che viene) non è sufficiente per essere validi testimoni di Cristo e, in questo caso, di pace. Perché tutto si gioca nel presente. Perché noi siamo creature che vivono nel tempo.
Il tempo è una condizione (come lo spazio) che ci connota e ci limita. Quindi siamo chiamati ad agire nell’oggi. In questo momento, in ogni preciso istante. E lo dobbiamo fare preparati. Con la fede e il passato, con la speranza e il futuro, ma oggi, e con chi ci sta accanto in questo momento.
Se, come abbiamo detto, la speranza ci spinge a creare le strutture per accogliere sempre più e sempre meglio il dono di dio; questo lavoro, però, lo dobbiamo fare adesso. Come del resto anche per ogni cosa umana. Se ho un progetto, riuscirò a realizzarlo solo se già da oggi metterò le basi e inizierò a lavorarci.
Quindi se parliamo di cosa ognuno di noi può fare per la pace, da cristiani, da AA.SS. siamo chiamati a fare quello che ci dice Gesù e quello che troviamo scritto nel nostro patto. La pace la dobbiamo cercare nel nostro cuore. E siamo chiamati a donarla agli altri, a farla fruttificare, a condividerla.
Eccolo il senso della carità. Il terzo aspetto dopo fede e speranza.
Carità che non è elemosina, ma agàpe. Agàpe è l’amore verso l’altro, l’amore dello stare insieme, in comunità.
Noi AA.SS. siamo fortunati perché il nostro movimento si basa proprio sulla comunità: il MASCI è comunità di comunità, ecco quindi come e dove lavorare affinché la pace sia una cosa possibile.
Ricordandoci dell’esempio di San Francesco che affronta un viaggio per andare dal sultano. E’ lui che fa il primo passo. Lo incontra anche se non parlano la stessa lingua, si capiscono anche se avevano fede e cultura molto diverse tra loro.
Le parole di Luca Lanari per la giornata che il Masci Marche ha dedicato alla Pace.
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